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Proprio mentre s'apriva il dibattito su quanti riti voodoo si celebrassero nei laboratori, la rivista «Neuron» ha pubblicato in copertina un'immagine spettacolare. Registrata con la risonanza magnetica e tradotta in pixel sullo schermo di un computer, mostrava caratteri latini che alcuni volontari giapponesi stavano visualizzando: le sei lettere di "neuron". Sotto la copertina, c'era il resoconto di esperimenti che avevano richiesto le risorse di cinque istituti e una potenza di calcolo pari alla pazienza delle "cavie" e alla pignoleria di Yukiyasu Kamitani, del laboratorio Atr di neuroscienze computazionali a Kyoto. A capo di un'équipe di informatici, matematici statistici e neurologi, ha misurato l'attività dei neuroni della vista in volontari che dapprima hanno tenuto gli occhi chiusi e poi li hanno aperti per guardare nel vuoto. Questo per tarare gli strumenti. Le "cavie" hanno poi individuato simboli e lettere, chiudendo gli occhi e tentando di ricrearne mentalmente l'immagine (se a qualche lettore sembra facile, ci provi). All'inizio, sullo schermo del computer sono comparsi dei blob informi che dopo un po' di allenamenti sono diventati inconfondibili.
Lo scopo di queste fatiche? «Ottenere un sistema più preciso dei precedenti», risponde Kamitani. «Potremo registrare e riprodurre immagini soggettive, come quelle dei sogni». Per il resto arriva un "no comment", ma basta così. Lo scienziato giapponese ha appena evocato una visione da fantascienza: sogni seguiti in diretta da miliardi di telespettatori, come in un romanzo di William Gibson. E dopo Puna, è già realtà la "conoscenza esperienziale" di una ragazza sospettata di complicità in un delitto. O magari solo di immaginare un desiderio proibito, un peccato.